Che cos’è
E’ una formazione di tessuto costituito da cellule che crescono in modo incontrollato e anomalo all’interno della ghiandola prostatica. Nel corso degli anni è diventato il cancro più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali.
Fattori di Rischio e Prevenzione
Le cause reali del carcinoma rimangono ancora sconosciute. È possibile però individuare alcuni potenziali fattori di rischio che aumentano la probabilità di ammalarsi, anche se non sono direttamente responsabili dell’insorgenza della patologia. I principali sono:
– alimentazione, una dieta ricca di grassi, soprattutto saturi come fritti e insaccati e l’eccessivo consumo di carne rossa e latticini (quindi anche di calcio), aumenterebbero l’incidenza. La dieta vegetariana sembra invece svolgere un’azione protettiva. Andrebbero privilegiati in particolare gli ortaggi gialli e verdi, l’olio d’oliva e la frutta.
– sedentarietà
– sostanze chimiche, come cadmio, alcuni fertilizzanti e coloranti
– alti livelli di androgeni nel sangue
– fattori ereditari, anche se in una minoranza dei casi (<15%), gli uomini con un parente stretto (padre, zio o fratello) con questo cancro presentano, infatti, un maggiore rischio di ammalarsi (soprattutto se la neoplasia è stata diagnosticata a più di un familiare, prima di 65 anni).
È bene quindi che in presenza di familiarità si compiano controlli già a partire dai 40-45 anni.
Prevenzione secondaria: lo screening
Prevalgono dati e pareri discordanti sull’importanza di esami “preventivi”. In particolare le istituzioni sanitarie americane disincentivano il test del PSA (antigene prostatico specifico) come screening, anche se la comunità uro-oncologia europea ha molto criticato questo suggerimento. L’esame del PSA non dovrebbe essere utilizzato in maniera indiscriminata come strumento di screening del tumore della prostata. La sensibilità del test varia dal 70 all’80% e quindi il 20-30% delle neoplasie non viene individuato quando il PSA viene utilizzato come unico mezzo diagnostico. Va eseguito su indicazione del medico di medicina generale e/o dello specialista dopo i 50 anni o se vi è familiarità diretta per questo tumore dai 40 anni oppure quando si soffre di disturbi urinari.
Sintomi e diagnosi
Il cancro della prostata non presenta sintomi specifici. I disturbi che si possono riscontrare sono gli stessi che si accompagnano all’iperplasia prostatica benigna come: indebolimento del getto delle urine; frequente e incontenibile necessità di urinare, sia di giorno che di notte; possibile dolore alla minzione e presenza di sangue nelle urine (in alcune occasioni). I sintomi compaiono solo se la neoplasia è abbastanza voluminosa da esercitare pressione sull’uretra. È difficile quindi che siano presenti se la malattia è in stadio iniziale e di piccole dimensioni.
Un’analisi che può accertare una corretta diagnosi del tumore alla prostata è l’esplorazione rettale (ER). Si tratta di un esame semplice grazie al quale l’urologo può individuare la presenza di noduli prostatici sospetti. Viene spesso evitato dalla maggior parte della popolazione maschile – probabilmente per ragioni di pudore – anche se si tratta di una visita semplice e indolore che tuttavia richiede una buona esperienza da parte dell’urologo. Se la ricerca del PSA e l’esplorazione rettale danno luogo ad un sospetto di neoplasia prostatica, si consiglia di effettuare una biopsia della prostata. E’ in rande evoluzione l’uso della risonanza magnetica multiparametrica che probabilmente diverrà a breve l’esame elettivo da affiancare al PSA.
Numeri
Il tumore della prostata rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a partire dai 50 anni di età. Ogni anno sono stimati circa 35.000 nuovi casi. La sopravvivenza dei pazienti, non considerando la mortalità per altre cause, è attualmente del 91% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita.
Prevenzione
Se gli studi clinici dimostrano senza ombra di dubbio l’importanza di esami “preventivi” contro alcuni tumori, come quello della mammella o del colon, per le neoplasie della prostata prevalgono dati discordanti. In particolare esistono due scuole di pensiero basate sui risultati dei due studi di screening con PSA: la prima (americana) incentiva la prescrizione di esami diagnostici preventivi a tutti gli uomini con più di 50 anni (come l’antigene prostatico specifico, PSA). La seconda (europea) sottolinea come la letteratura non abbia ancora confermato la reale utilità di una diagnosi precoce, in assenza di sintomi, nel migliorare la sopravvivenza e le probabilità di guarigione.
Come si affronta
Esistono diverse opzioni terapeutiche e osservazionali per la neoplasia della prostata: chirurgia, radioterapia, brachiterapia, ormonoterapia, chemioterapia, sorveglianza attiva e vigile attesa.
Chirurgia
Gli interventi possono prevedere, a seconda dei casi, la rimozione della prostata, delle vescicole seminali (prostatectomia radicale) e in alcuni casi dei linfonodi. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche ha consentito, inoltre, di ridurre le complicanze post-chirurgiche.
Radioterapia
Utilizza radiazioni ionizzanti ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di salvaguardare i tessuti e gli organi sani circostanti. Può avere diverse finalità: intento curativo (elimina radicalmente tutte le cellule tumorali), intento adiuvante post-operatorio (si esegue pochi mesi dopo l’intervento chirurgico), intento post-operatorio di salvataggio (si svolge dopo l’intervento chirurgico solo in caso di risalita del PSA e/o in caso di recidiva), intento palliativo (serve per lenire il dolore).
Brachiterapia
E’ una forma di radioterapia che prevede il posizionamento di piccole sorgenti radioattive direttamente all’interno della prostata in anestesia epidurale o generale e sotto guida ecografica transrettale. La procedura richiede circa un paio d’ore. È indicata per il trattamento dei tumori a basso rischio di progressione, mentre per quelli a rischio intermedio e alto si può associare alla radioterapia a fasci esterni e alla terapia ormonale.
Sorveglianza attiva
Si tratta di un atteggiamento osservazionale proposto a selezionati pazienti in classe di rischio molto bassa e bassa in alternativa ai trattamenti radicali standard (chirurgia, radioterapia e brachiterapia); consiste in un programma di controlli clinici e strumentali (in genere PSA, biopsia prostatica ed esami di imaging tra cui ecografia prostatica transrettale e Risonanza Magnetica multiparametrica) che permette di dilazionare il trattamento attivo e quindi i relativi effetti collaterali al momento della modifica delle caratteristiche iniziali della malattia.
Vigile attesa
Si tratta di un atteggiamento osservazionale proposto a solitamente ai pazienti affetti anche da altre malattie importanti o con un’aspettativa di vita inferiore a 10 anni, indipendentemente dalle caratteristiche del tumore; consiste in controlli a intervalli per lo più semestrali mediante test del PSA e visita urologica con esplorazione rettale, mentre la ripetizione della biopsia non è indicata. Si avvia una terapia antitumorale (generalmente di tipo ormonale) solo se compaiono sintomi e disturbi
Ormonoterapia
Consiste nell’abbassare il livello di testosterone che è l’ormone maschile che influisce sulla crescita del cancro della prostata. Può essere utilizzata da sola o in associazione ad altri approcci terapeutici quali la radioterapia e la brachiterapia e serve per controllare la malattia in stadio avanzato o metastatico (dopo chirurgia, radioterapia o brachiterapia) se il livello di PSA continua ad aumentare; a prevenire la ripresa della malattia se i linfonodi risultano invasi dalle cellule tumorali o in combinazione con la radioterapia a fasci esterni nei tumori a rischio intermedio e alto; a ridurre il volume della prostata e favorire, quindi, la brachiterapia
Chemioterapia
Nel caso in cui la terapia ormonale di prima linea non risulti più efficace la neoplasia diventa “resistente alla castrazione”. In tale fase di malattia, accanto agli agenti ormonali di nuova generazione, potrebbe essere utile l’approccio con farmaci chemioterapici somministrati per via endovenosa.